All’interno del vasto panorama marziale cinese il Tanglangquan (pugilato della mantide religiosa) si caratterizza maggiormente per le sue peculiari tecniche di mano, estremamente veloci e aggressive, e per la particolare forma della sua postura più rappresentativa, la mano della mantide (螳螂手 tángláng shǒu).
Allo stesso tempo, benché a prima vista meno evidente, un altro aspetto definisce e rende peculiare ed estremamente efficace questo stile: l’utilizzo dei passi. Nello stile si ricorda che a fare da contraltare alle mani della mantide vi sono sempre i passi della scimmia (猿猴步 yuánhóu bù), i quali in modo ancora più evidente rendono il Tanglangquan uno stile molto agile ed efficace nel combattimento.
Nei libri e in rete si legge spesso la formula “mani di mantide e passi scimmia”, ma qual è la caratteristica che contraddistingue questo tipo di passi?
Nei testi antichi dello stile ricorre spesso una formula in relazione ai passi: 闪赚腾挪 (shǎn zhuàn téng nuó), letteralmente “schivare in modo profittevole, sollevarsi e spostarsi”. Questa formula sta ad indicare tutti quegli spostamenti (passi, salti, scivolamenti, torsioni etc.) nelle varie direzioni condotti in modo agile (灵敏 língmǐn) e rapido (迅捷 xùnjié). Come si trova scritto nel Discorso e formule sulle lavoro dei colpi corti degli Arhat (罗汉行功短打诸条歌论), probabilmente il nucleo più antico della teoria dello stile risalente alla sapienza Shaolin, nel muovere i passi occorre essere agili “come un topo che sbuca dalla tana”, veloci e sorprendenti “come lo sparo di un fucile”, imprevedibili “come una scintilla”.
Nel combattimento la caratteristica fondamentale dello stile della mantide è la concatenazione delle tecniche in brevi o lunghi blocchi di movimento. Ogni azione lega insieme dai tre ai cinque colpi in una frazione di tempo più breve possibile. La velocità e la scioltezza dei passi risulta dunque necessaria per riuscire a coordinarsi con la velocità delle tecniche di mano. L’efficacia effettiva nel combattimento del Tanglangquan risiede proprio nella capacità di saper seguire l’avversario, in modo da controllarne ogni spostamento, chiudendo e pressando con le posizioni mentre in alto si colpisce concatenando i colpi.
A questo scopo nello stile ci si muove molto spesso attraverso delle “non-posizioni”, ovvero delle posizioni più alte, più corte oppure più “morbide” che consentono al corpo di muoversi in modo più agevole senza blocchi o stagnazioni di forza.*
Il maestro Zhang Jianfang, discepolo di Luo Guangyu, descrive questo tipo di movimento delle gambe con la formula “simile ad un cavallo senza essere un cavallo, simile ad un arco senza essere un arco” (似马非马,似弓非弓 sì mǎ fēi mǎ,sì gōng fēi gōng),** ovvero posizioni che non siano fisse e statiche, ma libere di mutare in qualsiasi momento e in qualsiasi direzione.
Ne sono un esempio le posizioni peculiari dello stile, Yùhuánbù (玉环步) e Qīxīngbù (七星步), nonché tutte le variazioni alle posizioni più classiche, in cui si propende ad una riduzione della staticità a favore di una maggiore libertà di spostamento, pur mantenendo saldo il radicamento e forte la pressione sul terreno. Nella scuola del maestro Lin Dongzhu si parla ad esempio di Mabu alta (高马步 gāo mǎbù), Gongbu alta (高弓步 gāo gōngbù) etc, per avere una maggiore libertà di movimento delle gambe e poter soddisfare quella velocità e agilità richiesta dallo stile.
Quando sentiamo parlare di non-posizioni, di libertà di movimento, di uscita dagli schemi ovviamente ci vengono subito alla mente il “non-metodo” proposto dal Jeet kune-do oppure altri nuovi metodi moderni di combattimento. Di fronte ai nuovi approcci si pensa sempre ai metodi tradizionali come qualcosa di stantio e oramai inutile, poiché si tende a non considerare l’evoluzione, e sarebbe anche il caso di dire “l’involuzione”, che essi hanno subito nel corso degli ultimi cento anni. Tuttavia, attraverso uno studio approfondito degli stili tradizionali ed una pratica volta al reale, ci si accorge che gli antichi praticanti di arti marziali erano molto più moderni, più pratici ed più efficienti di quanto riusciamo a pensarli oggi, e che, come si ripete spesso in Cina, è l’idea che determina la forma, non il contrario.
Leggendo i testi antichi si capisce chiaramente che l’idea che guida ogni scelta tecnica deve essere l’efficacia nel combattimento, non la forma finale del movimento. Si rifugge quindi ogni tipo di schematismo in favore di una tecnica libera che possa prevedere il cosiddetto cambiamento (变化 biànhuà). L’addestramento tuttavia deve passare per alcune fasi “fisse”, in cui il praticante deve studiare e fare proprie le “regole” dello stile attraverso la continua ripetizione. Una volta interiorizzato il movimento basilare, allora si avrà quella libertà di cambiamento che contiene in sé l’essenza del saper combattere.
E.T.
* È bene tenere a mente, come ricorda molto spesso il maestro Lin Dongzhu, che la posizione (步型 bùxíng) null’altro è che un istante del passo (步法 bùfǎ) e che quindi non bisogna interpretare le posizioni come qualcosa di statico.
** Per “cavallo” si intende la posizione Mabu (passo del cavallo), per “arco” si intende la posizione Gongbu (passo dell’arco).